
Elena amor mio!
Questa è la bellissima poesia che Saffo di Lesbo dedicò ad Elena, ricordata nella mitologia ed identificata come la donna più bella dell’universo.
“Dicono che sopra la terra nera
la cosa più bella sia una fila di cavalieri,
o di ospiti, o di navi.
Io dico: quello che s’ama.
Chiunque può capirlo facilmente:
colei che superava di molto
tutti i mortali per bellezza, Elena,
abbandonò lo sposo
il più eccellente degli uomini
e fuggì a Troia per mare….
Oh, preferirei rivedere
il suo amabile passo,
il candore splendente del viso,
piuttosto che i carri dei Lidi
e battaglie di uomini in armi”.
Nell’Agamennone di Eschilo così è delineata la sua fulgida bellezza:
“Nella città di Ilio giunse un spirito di calma senza vento,
un delicato ornamento di ricchezza,
un dolce dardo per gli occhi,
un fiore d’amore che morde l’animo”(Eschilo-Agamennone versi 737-43).
Nell’Iliade nel Libro III, dedicato al duello tra Menelao e Paride, per il quale Elena, dall’alto delle Porte Scee con gli anziani ne è spettatrice insieme allo stesso Priamo, così dicono di lei:
Là, accanto a Priamo…sedevano, gli anziani di Troia,
presso le porte Scee,
per l’età lontani dalla battaglia, ma parlatori
abilissimi, pari alle cicale, che nella selva
stando sugli alberi emettono voce suadente:
tali condottieri dei Troiani sedevano sulla torre.
Quelli, non appena videro Elena avvicinarsi alla rocca,
sottovoce presero a scambiarsi parole alate:
“Non è un’onta che i Teucri e gli Achei dai begli schinieri
per tale donna soffrano da lungo tempo dolori:
tremendamente somiglia nel volto alle dee immortali”(Iliade libro III versi 155-160).
Nella tragedia Agamennone Eschilo, il grande drammaturgo, così tratteggia la disperazione di Menelao, oramai sposo abbandonato, dopo il rapimento di Elena da parte di Paride.
“Si vede il silenzio disonorato, incredulo, muto dell’uomo abbandonato,
per la nostalgia di colei che ha attraversato il mare:
un fantasma sembrerà dominare la casa.
La grazia delle belle statue è odiosa al marito,
nella privazione degli occhi svanisce tutto l’amore.
Nel sogno si presentano immagini dolorose, arrecando un vano piacere:
è vano quando a qualcuno sembra di vedere il suo bene
e la visione gli sfugge tra le mani, non vola più sulla strada del sonno” ( versi 412-26).
Così ha commentato Giorgio Ieranò ne “Gli eroi della guerra di Troia”: “donna che ormai è “al di là del mare”, Elena, aleggia nell’aria come un fantasma. Molte storie mitiche dell’antica Grecia ci raccontano come gli amanti abbandonati usassero forgiare una statua del loro amato: un’immagine che servisse come doppio dell’assente, un idolo che facesse rivivere magicamente la figura di chi era morto o lontano. Ma le statue dagli occhi vuoti che popolano la reggia di Menelao non portano alcun conforto, anzi acuiscono la disperazione del re. Quelle statue ricordano la bellezza di Elena, ma la fanno anche sentire irrimediabilmente perduta. Un sogno ormai svanito, che lascia dietro di sé solo solitudine e desolazione, mentre apre la via a lunghi anni di guerra e di morte”.
Elena nasce già come un’immortale, perché è il frutto dell’unione tra Zeus e Leda.
Secondo la leggenda il padre degli dei si sarebbe trasformato in un cigno ed avrebbe fecondato Leda. Elena sarebbe nata da una coppia di uova che contenevano rispettivamente lei e Clitemnestra e le altre i gemelli Castore e Polluce.
La sua bellezza era inaudita ai terrestri, perché partecipava di tutta la fulgidità olimpica.
Si narra che quando il padre adottivo, Tindaro, volle darla in sposa, fu convinto da Odisseo che tutti i pretendenti sarebbero stai vincolati al giuramento di fornire aiuto allo sposo prediletto, in caso di rapimento della bellissima fanciulla.
E cosi fu quando Paride la ebbe in dono da Afrodite; si ricorda infatti che Zeus, quando la dea Eris, la Discordia, lanciò la mela con la scritta alla più bella, perché non fu invitata alle nozze tra Peleo e Teti, genitori di Achille, designò, per togliersi di impaccio, proprio Paride, affinchè stabilisse quale tra le tre dee, Afrodite, Era ed Atena, fosse la prescelta.
Senza indugio Paride optò per Afrodite, che in cambio le donò l’amore e dunque ordì che avrebbe ottenuto Elena, la donna più bella dell’universo.
Elena, dunque, era una dea o una creatura immortale.
Afrodite l’aveva promessa in premio a Paride dopo il fatale giudizio sul monte Ida. E il principe troiano attraversò il mare per andare a prendersi il suo premio.
Gli antichi scrittori greci non ci hanno lasciato racconti dettagliati di quanto avvenne tra i due.
Non conosciamo i particolari dell’incontro tra Paride ed Elena, ci manca la cronaca dei loro primi sguardi, dei loro gesti complici, delle loro parole ambigue, del loro sfiorarsi, dei loro contatti dapprima timidi e poi sempre più audaci.
Solo il poeta Ovidio, al tempo dell’imperatore Augusto, ha provato ad immaginarsi “il contatto d’amore” nella sua raccolta intitolata Eroidi, dove, tra vari poemetti, è contenuto un immaginario scambio epistolare tra Paride ed Elena.
“Trasalii nel vederti”, racconta Paride.
“Sentii con stupore che il mio cuore provava un sentimento nuovo. Solo Afrodite aveva un viso come il tuo, mi ricordo, quando venne sul monte Ida con le altre dee”.
“Vedo quello che fai quando viene apparecchiata la tavola, impudente, sebbene faccia finta di non vederlo” replica Elena, civettuola, simulando di volersi sottrarre al corteggiamento.
“Lo vedo che mi guardi, sfrontato, con i tuoi occhi arditi. Poi sospiri, senza farti notare prendi la mia coppa, e bevi dove io ho appoggiato le labbra”.
Menelao lamenta che dopo aver ricevuto l’ospite con tutti gli onori, ne fu tradito. Si narra che abbandonò la reggia per recarsi ad un funerale a Creta e, lasciata sola Elena, rese possibile il suo rapimento da parte di Paride.
Questi aveva tuttavia violato la legge più sacra della civiltà greca: quella della xenia, dell’ospitalità: aveva ripagato, con l’inganno, la generosa accoglienza che gli era stata offerta; non era stato offeso solo Menelao, ma soprattutto Zeus, garante dei patti di ospitalità fra gli uomini.
“Zeus Signore concedi che mi vendichi di colui che per primo mi offese, il divino Paride, colpiscilo sotto la mia mano, affinchè tutti, anche fra gli uomini che verranno, abbiano orrore di recare offesa a chi un ospite accoglie ed offre amicizia” (Iliade Libro III Versi 351-354).
Con il suo arrivo nella reggia si stabilisce tra Menelao e Paride un legame di amicizia (philia) che impone obblighi reciproci: fiducia e promessa di sostegno in caso di necessità.
Menelao lascia la reggia e,non potendo prendersi cura personalmente dell’ospite, lo affida ad Elena, perché offra la cortesia all’amico non più straniero.
Paride non ricambia con altrettanta generosità, approfitta dell’occasione favorevole per intrattenersi con Elena,porgerle dei doni e con il sostegno di Afrodite, indurla a partire con lui.
Il comportamento di Paride non offendeva Menelao soltanto sul piano personale, ne offuscava anche l’onore (time) nell’ambito della comunità.
Dovrà dunque il re di Sparta vendicare l’offesa subita dall’ospite per recuperare quell’onore (time)ed il prestigio sociale di cui il ratto della sposa lo ha privato (passim: Maurizio Bellini- Carlo Brillante Il Mito di Elena- capitolo IV La sposa infedele pagina 73)
Ma Elena, che aveva portato il disonore nella reggia di Menelao, è davvero la causa che ha fatto scatenare la guerra di Troia?
Il suo nome evoca distruzione e morte. Elena deriva da Helene descritta come distruttrice di navi, heleanus, ma anche di uomini helandros e di città heleptolis.
Si autodefinisce cagna. Così si rivolge a Priamo:
“Suocero mio, tu sei per me degno di rispetto e timore:
ah, se avessi scelta la morte terribile, quando seguii
tuo figlio qui, lasciando il letto nuziale e i congiunti
e la tenera figlia e le dolci compagne.
Ma così non fu: e perciò mi struggo in pianto.
Tuttavia ti dirò ciò che mi chiedi e ricerchi:
quello è l’Atride, il sire Agamennone,
a un tempo sovrano capace e guerriero possente;
era mio cognato, io faccia di cagna, se mai così fu”(Iliade Libro III versi 170-180).
Nell’Iliade come nell’Odissea Omero non è di quest’avviso: la vera causa che ha reso possibile l’ostilità tra greci e troiani è da ascrivere agli dei, ai loro capricci.
Quando Priamo la incontra sulle mura di Troia esclama: ”Per me tu non sei colpevole, ma gli dei, che hanno scatenato contro di me, la sanguinosa guerra degli achei”(Iliade III Libro versi 164 e seguenti).
Allo stesso modo Penelope nel bel canto-il XXIII ( quello dell’amore ritrovato con Ulisse)- ragiona con il re di Itaca: “Neppure Elena argiva nata da Zeus si sarebbe unita d’amore e di letto ad un uomo straniero,se avesse saputo che di nuovo i bellicosi figli degli achei l’avrebbero condotta alle case ed alla cara terra dei padri. Ma un dio la condusse a compiere un’azione così sfrontata; la colpa dapprima non meditò nel suo animo, la colpa funesta che un tempo generò la nostra rovina”(Odissea libro XXIII versi-215,218).
Elena,sostengono i suoi accusatori, è priva di aidos, di pudore. Si determina dunque,come conseguenza del suo comportamento riprovevole (abbandono del marito e della figlia), l’anaideia la sfrontatezza.
Ella è l’opposto di altre donne greche che invece erano fedeli ai loro mariti: Penelope, rispetto ad Ulisse, Andromaca per Ettore: rappresentano, queste ultime, la continuità dell’amore coniugale.
Nelle “Troiane”, tragedia scritta da Euripide, Ecuba, madre di Paride e di Ettore,così si rivolge a Menelao: “Ti lodo se uccidi la tua sposa Menelao. Ma fuggine lo sguardo, che non ti afferri con il desiderio: essa prende la vista degli uomini, distrugge le città, incendia le case. Io, tu e quanti soffrimmo lo sappiamo” (Euripide Troiane versi 880-885).
Nei confronti di Elena la moglie di Priamo esclama: ”E ora ti presenti qui fatta più bella ed ornata a respirare l’aria stessa che respira il tuo sposo. Sfacciata. Dovevi semmai venire con le vesti logore, tremante, umile, con i capelli rasi, ricordando le tue colpe. Menelao fa onore alla Grecia, uccidendo costei. E’ cosa degna di te, delle tue gesta, dar legge ed esempio alle altre donne: quella che tradisce lo sposo deve morire”( Troiane 1020-1025).
Sia Gorgia che Isocrate hanno scritto un Encomio di Elena, reputando che la fedifraga non abbia colpa alcuna.
Secondo Gorgia era in primo luogo bellissima:
“ebbe bellezza pari a quella di una dea, ed essa non rimase nascosta, suscitò moltissimi amori in moltissimi uomini e con la sua sola persona attirò molte persone, che andavano superbe per grandi doti… tutti vennero spinti da una passione bramosa…Per volere della sorte o per comando divino o per decreto della Necessità fece quello che fece o perché rapita con la forza, o perché persuasa dalla parola, o perchè prese da amore….Gli dei sono più forti degli uomini per violenza, per sapienza ed in tutto il resto. Se dunque la responsabilità si deve attribuire alla Sorte ed al dio, Elena deve essere scagionata dall’infamia”(Gorgia Encomio di Elena a cura di Emilio Paduano).
Ha ragione Isocrate quando scrive: “Partecipò in sommo grado della bellezza, che è la cosa più santa, più preziosa, più divina di tutte…l’amore del bello è innato in noi e conferisce tanto più forza alla nostra volontà quanto vale più l’oggetto.. verso le persone belle già al primo vederli siamo ben disposti e loro soli, oltre agli dei, non rifiutiamo di venerarli. Preferiamo anzi di essere schiavi di questi,che padroni degli altri…quelli che servono la bellezza li consideriamo raffinati ed attivi…quelli che preservano la loro primavera, facendone come un tempio inaccessibile ai malvagi, li onoriamo per tutto il resto della loro vita,come chi ha reso un beneficio all’intera nazione”.
Menelao si riprese la sua sposa: dopo aver espugnato Troia fu nuovamente abbacinato dallo splendore di Elena:” non appena hai visto il suo seno hai gettato la spada, hai accettato il suo bacio, hai mostrato la tua dipendenza da Afrodite, vilissimo”(Andromaca 627-31).