
IL TERREMOTO: IL RESPIRO DELLA TERRA al cospetto della sorte dell’uomo
Abbiamo e sentiamo addosso ogni giorno il miracolo della vita: se scendiamo dal letto ci auguriamo buona giornata ed affrontiamo la frenesia della quotidianità.
Ma dobbiamo essere consapevoli di una grande verità. Lo ha scritto bene la Tamaro sul Corriere della Sera.
La natura, il cielo, la terra, le acque, sono infinitamente più forti di noi, delle nostre volontà, delle nostre ambizioni e presunzioni. Nel loro eterno gioco di violente e sotterranee energie considerano gli esseri umani non molto diversamente da come noi consideriamo le formiche. Un soffio, una scrollata, un’onda, e tutto è finito. La terra ha un fiato. Con noi sopra, respira, il suo respiro quieto. Ma su questa armonia di respiro può inserirsi ad un tratto un sussulto, un singhiozzo, un’apnea. E di questo dovremmo essere sempre coscienti. Dovremmo ricordarci che la dignità più profonda delle nostre vite non ci giunge dalla forza, dal potere, dalla tecnica, ma dalla consapevolezza della nostra profonda fragilità (Susanna Tamaro-Corriere della sera del 25/8/2016).
Siamo dunque alla mercé della Fortuna che nell’antica Grecia veniva definita come Tyche, la quale aveva il potere di decidere, non dietro a un giudizio, ma semplicemente ad un capriccio, quale sarebbe stata la sorte dei comuni mortali; di essa, si diceva, che correva qua e là, facendo rimbalzare una palla, per dimostrare che la sorte è cosa incerta.
Il terremoto non è una punizione divina, una reazione del Creatore ai peccati dell’uomo. È il sussulto della terra, come una singolare manifestazione della necessità, Ananke dal Fato ineluttabile, che decide in modo misterioso.
Kant credeva nell’intelligenza dell’uomo nel “Sapere Aude“, nell’evoluzione del processo di crescita per dominare la natura. Ma la forza persuasiva della sua argomentazione nulla poteva al cospetto della calamità .
Al terremoto di Lisbona del 1 novembre 1755 morirono oltre 150 mila persone (una città completamente distrutta) e si ebbe la forte sensazione che fosse venuta la fine del mondo.
Il filosofo di Koenigsberg non seguì Leibniz, secondo cui il mondo di allora fosse il migliore dei mondi possibili, ma ritenne che i terremoti fossero passaggi dolorosi, ma passaggi, non eterne e continue manifestazioni.
Lo stesso Voltaire, come disse il filosofo Adorno, canzonava Leibniz e metteva in ridicolo la sua teoria sulla natura. Si parlò allora di una filosofia del disastro, ma gli illuministi compresero le leggi ineluttabili della natura e la teodicea di Leibniz andò in soffitta. Voltaire ne scrisse addirittura un libro, Poema sul disastro di Lisbona, per dimostrare la dignità del finito e la limitatezza dell’uomo al cospetto della natura, a prescindere se fosse benigna o maligna. Rispetto alla realtà del male l’affermazione che Tutto è bene finisce per essere “solo un insulto ai dolori della nostra esistenza”, scriveva dopo la fortissima suggestione del terremoto di Lisbona.
La fiducia nella razionalità dell’uomo un giorno potrà dominare possibilmente la natura e capiamo per esempio che la dorsale appenninica sia portatrice di terremoti, non come un ventaglio che si apre e si chiude. Ma l’incuria nulla ha a che vedere col il fato.
I morti sono tanti, troppi. I feriti sbigottiti vengono portati via sotto gli occhi delle telecamere, mentre lo sguardo spazia sulle macerie che ancora sono avvolte in nuvole di polvere.
Un Paese che si vuole bene può permettersi di ignorare con tanta disinvoltura un futuro prevedibile? Un Paese che ha cura di se stesso può consentirsi di trascurare un minimo di controllo sulla stabilità delle case che vengono giù, alla prima scossa, come fossero di biscotto?
La piccola e bella città di Amatrice è ridotta un cumulo di macerie. Il sindaco chiede aiuto, dice che ci sono ancora molti sepolti sotto le macerie. Ma possibile che si debba intervenire sempre dopo il disastro e mai prima? Purtroppo, lo sappiamo, questo è il motivo ricorrente del nostro Paese. Tutti generosi e solidali nell’emergenza, ma incapaci di prevenire il futuro (Dacia Maraini Corriere della Sera del 25/8/2016).
Con il terremoto dell’Irpinia, fu detto, si spezzò l’osso del Sud. Anche in quell’occasione crollavano le case come vecchi presepi di cartapesta ed anche in quel caso si gridò all’incuria dell’uomo.
Oggi noi assistiamo che alle falde del Vesuvio e sulla sua bocca si costruiscono case. L’uomo consapevole della sua ineluttabile fragilità sfida comunque le ferree leggi della natura.Che cosa accadrebbe se il Vesuvio eruttasse? Saremmo al cospetto di una nuova tragica Pompei.
La classe politica ha consentito l’ecatombe e non ci sarà evacuazione che tenga. La natura non ha colpe e solo sfregiata e deturpata in questo caso (come anche quello di Amatrice). A giusta ragione grida Dacia Maraini: la mia rabbia e più forte del dolore se non siamo in grado di prevenire le feritoie dei nostri monti!!
Ora bisogna solo scavare, non imprecare e per chi crede pregare. Domani è un altro giorno: un altro miracolo della vita.