NIETZSCHE: IL CARRO DI DIONISO RISPLENDE SULLA TERRA

NIETZSCHE: IL CARRO DI DIONISO RISPLENDE SULLA TERRA

Nietzsche: il carro di Dioniso risplende sulla terra

“Una  grande delusione d’amore per una ragazza russa di  24 anni, Lou Von Salomè, fu il letto ispirativo  della opera filosofica più diffusa in tutto l’occidente: Così parlo Zarathustra, scritta da  Friedrich Nietzsche.”

Si incontrarono a Roma nell’aprile del 1882 in San Pietro e quando Nietzsche la vide trasalì: ”da quali stelle siamo caduti per incontrarci qui”, le disse con tono solenne(L.Andreas-Salomè- Il mito di una donna Guaraldi editore 1975 pagina 74).

L’incontro fra i due avvenne su iniziativa di Paul Rèe che propose alla Salomè, di cui era innamorato un mènage à trois, sia pure di natura spirituale, da concretarsi con il suo migliore amico, Friedrich Nietzsche.

Anche il grande filosofo si innamorò della Salomè. Si racconta che proprio a Roma nei primi di maggio del 1882 Nietzsche e Lou ebbero l’opportunità di stare soli presso il Monte Sacro.” Continuo a domandarmi quale è stata la tua attitudine, il tono della tua voce, quali sono stati i gesti e gli sguardi, che hanno accompagnato le parole al Monte Sacro”: così scrisse  Paul Rèe, gelosissimo dell’amico, alla Salomè
(H.P.Peters Mia sorella, mia sposa pagina 61).

Molti anni dopo Ernst Pfeiffer, amico e biografo della Salomè, le chiese, oramai anziana, se sul Monte Sacro avesse baciato Nietzsche; lei si trincerò dietro un civettuolo : “non ricordo
( W.Ross Lou Andreas Salomè. L’incontro con Nietzsche, Rilke e Freud- Ferrando Editore 1994- pag. 20).

Effettivamente qualcosa ci deve essere stato: Lou racconta di essere stata stregata dal Monte Sacro, mentre Nietzsche ricordò sempre quel momento, “come il più incantevole sogno della mia vita
(Triangolo di lettere- pag. 91).

Nietzsche, in Svizzera, al parco di Lucerna chiese a Lou Von Salomè di diventare sua moglie e con solennità lei gli disse di no.

Il mènage à trois, si concluse mestamente per Nietzsche, perché Lou Salomè s’innamorò, almeno per quel periodo, avendo avuto tanti altri amori nella sua vita, di Paul Ree. Anche quest’ultimo, come da contratto, che la Salomè impose, non la sfiorò minimamente: il loro amore durò, ma senza alcuna consumazione sessuale.

Nel mènagè à trois era la Salomè che comandava, tanto che fu proprio Nietzsche ad organizzare tutti i particolari necessari per la messa in scena di una foto che fece il giro d’Europa: Salomè aveva nelle mani un frustino ornato da un ramo di lillà, mentre i due filosofi in piedi dinanzi al calesse con l’aria un po’ stranita e Lou seduta dietro nell’atto di agitare il frustino.

Quell’immagine nel suo ingenuo ed esplicito simbolismo diceva la verità sul masochismo di Nietzsche e Ree e sulla crudeltà e spregiudicatezza di Lou Salomè

(Massimo Fini- Nietzsche- L’apolide dell’esistenza- Marsilio Editore- 2009- pag. 216).

L’innamoramento non soddisfatto produsse in Nietzsche una crisi che sembrò fatale ed irreversibile. Già era molto malato, semicieco, goffo, debolissimo con le donne, sprovveduto, tremendamente ingenuo. Nel 1883 tuttavia a Rapallo, in Liguria, concepisce il suo capolavoro: Cosi parlò Zarathustra.

Scrive Massimo Fini“è probabile che se per una qualche sorte Lou gli avesse detto di sì Nietzsche sarebbe guarito, ma è altrettanto probabile che non avrebbe scritto più nulla di significativo e la sua opera si sarebbe fermata alla Gaia Scienza. Lo stesso Nietzsche, innamoratissimo, le aveva detto:“ Non posso vivere a lungo accanto a lei”; per essere filosofo aveva bisogno della sofferenza e della solitudine. La Salomè ha scritto che “viveva il pensiero più di quanto non lo pensasse”. E’ un paradosso che centra il bersaglio, se sta a significare che per filosofare Nietzsche aveva bisogno di annullarsi come uomo” (Massimo Fini- Ibidem- pag. 237).

Nella primavera del 1884 Nietzsche scrive una lettera alla sorella Elisabetta, nemica di Lou Salomè:
Una cosa è certa: di tutte le conoscenze che ho fatto la più preziosa e feconda è stata per me quella della signorina Salomè. Solo dal momento che la conobbi diventai maturo per il mio Zarathustra.”

Zarathustra è un inno alla vita nella forma più splendida, più poetica per raccontare la filosofia.

Questo libro– scrive Nietzsche  in una lettera l’11 Febbraio 1883 all’amico Franz Overbeck- mi appare come il mio testamento. Esso dipinge, con la massima precisione, l’immagine del mio essere quale esso è, una volta che io abbia lasciato cadere ogni peso che mi grava addosso. E’ un’opera poetata e non una raccolta d’aforismi”.

In un’altra lettera, scritta il 22 Febbraio 1884 all’amico Erwin Rohde, Nietzsche afferma: “Il mio Zarathustra è finito nei suoi tre atti, è una specie d’abisso del futuro, qualcosa che da raccapriccio, ma specialmente per la sua beatitudine. Vi è dentro tutto il mio essere senza modelli, paragoni, predecessori; chi vi ha vissuto dentro, una volta ritorna al mondo con un altro volto.” Zarathustra è un ditirambo alla solitudine, una consacrazione della purezza della natura.

Nietzsche ha scritto quest’opera per superare il nichilismo: purezza vuol dire fedeltà alla natura umana, alla terra e al senso della terra, sviluppo da dentro verso fuori e dal basso verso l’alto, contro ogni imperativo. E’ il circolo dell’ascesi legata al dionisiaco, che supera la forma perfetta dell’apollineo, della grandezza, non altro essendo questa che sviluppo lineare della pura natura umana, non impedita da ostacoli esterni o interni.

Perciò il vangelo della purezza s’identifica con  la sacralità dell’immanenza, della terra che ha sue radici, che non cerca alterità metafisiche. L’uomo deve vivere con tutto il suo corpo dentro il mondo. L’avvenire sta al presente, come le cose ultime saranno alle prossime e non esiste un sopramondo o retromondo.

Non c’è più modo di approdare ai lontani miti dello spirito.Come il mare che da vicino è così evidentemente diverso e staccato dal cielo ed all’orizzonte si congiunge con esso in maniera non più distinguibile, così il senso del terrestre si  confonde, alla fine, con la spiritualità, il corpo con l’anima, sicchè, ogni distinzione, che era sembrata netta e premiante, perde la sua ragion d’essere
(passim da pag.357-421- Sossio Giametta – Introduzione a Nietzsche – Opera per opera)

Vi scongiuro fratelli rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di speranze ultraterrene. Essi sono degli avvelenatori! Che lo sappiano o no! Sono spregiatori della vita, moribondi, essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca, se ne vadano pure.

Un tempo l’anima guardava al corpo con disprezzo: e allora questo disprezzo era la cosa più alta: essa lo voleva macilento, orribile, affamato. Così pensava di sfuggire ad esso e alla terra.

Quel che è grande nell’uomo è che egli è un ponte e non un fine: quel che si può amare nell’uomo è che egli è un passaggio, un trapasso.

Io amo coloro che non sanno vivere, se non come quelli che vanno in rovina, perchè essi sono quelli che vanno oltre, sono quegli uomini grandi veneratori e frecce del desiderio.

Amo coloro che non stanno a cercare prima una ragione dietro le stelle per sacrificarsi e perire, ma che si sacrificano alla terra.

Amo colui che non serba per sé neanche una goccia di spirito, ma vuole essere in tutto lo spirito della sua virtù: così egli passa con lo spirito sopra il ponte.

Amo colui la cui anima si dissipa, che non vuole ringraziamenti e che non restituisce: giacchè egli dona sempre e non vuole conservarsi.

E’ tempo che l’uomo si assegni la sua meta. E’ tempo che l’uomo pianti il seme della sua più alta speranza.

Io vi dico: bisogna avere ancora il Caos in sè ,per poter partorire una stella danzante: voi avete ancora il Caos in voi. Bisogna cercare chi crea, non distrugge, chi non faccia parte del gregge, uomini che scrivano nuovi valori su nuove tavole.

Mi accompagnerò a chi crea, a chi raccoglie e festeggia: mostrerò loro l’arcobaleno e le scale del superuomo.

Canterò il mio canto ai solitari e chi ha ancora orecchie per l’inaudito, a costui farò il cuore pesante con la mia felicità.

Procederò verso la mia meta, andrò per il mio cammino, i tardi e gli esitanti li salterò a piè pari. E così segni il mio passo il loro trapasso” (passim-Proemio di Zarathustra- pag.25 a pag. 40).

Zarathustra aveva la compagnia di due animali: l’aquila che descriveva ampi cerchi nell’aria e dal cui collo pendeva un serpente,non come una preda, bensì come un amico. Essi rappresentavano la rapacità- l’aquila- e l’astuzia- il serpente-.

Zarathustra amava la vita, non perché era abituato, ma perché era un uomo d’amore, perché era proiettato all’amore; credeva solo ad un dio che sapesse danzare sulla terra.

L’uomo nobile vuole creare cose nuove ed una nuova virtù, l’uomo buono vuole cose vecchie che siano conservate.

L’uomo non deve rinunciare: lo spirito deve servire il senso della vita e della terra, conoscendo si purifica il corpo, lo si eleva; in chi conosce si santificano tutti gli istinti, l’anima si fa gioconda. Mille sentieri ci sono che non sono stati ancora percorsi, mille forme di salute e nascoste isole della vita.

Mazzino Montinari, con Giorgio Colli e Sossio Giametta sono stati in Italia e in Europa i più grandi studiosi di Nietzsche.

Proprio Montinari ci ricorda che, avendo scoperto la solitudine nella bella Rapallo, come condizione indispensabile alla sua filosofia, Nietzsche produce il suo capolavoro.

Al centro dell’opera c’è l’individuo che deve crescere contro altri individui, contro la superficialità e la schematicità dei giudizi universali. L’uomo comune ed uguale viene desiderato, solo perché quelli deboli temono il forte individuo e preferiscono, in luogo dello sviluppo, l’indebolimento generale.
Nella morale odierna Nietzsche  ne vede la giustificazione con il cristianesimo, che voleva  rendere tutti uguali gli uomini, anche quelli forti e spirituali.

La tendenza alla morale altruistica è la pappa molle, la sabbia malleabile dell’umanità, ne rappresenta la povertà e  la fiacchezza.  Le verità assolute sono strumento di livellamento, distruggono le forme caratteristiche.

Così parlò Zarathustra è un racconto favoloso e continuo, è un’opera che mette paura, perché lascia la cautela e propone l’abbandono dello spirito(passim  da pag.106-124 Mazzino Montinari Che cosa ha detto Nietzsche Adelphi editore).

Il tessuto molecolare dell’opera non è altro che un mescolarsi di conoscenze intuitive allo stato nascente e il miele della narrazione, in cui tale materiale viene agitato, non può che accrescerne la potenza immediata di comunicazione.

Il Pathos che sta alle radici di Cosi parlò Zarathustra è quello di un illuminato dalla conoscenza suprema: il suo canto che disseta gli uomini e li avvince ad una vita riscoperta come ricchezza terrestre di gioia. S’impone come modello inaudito d’una vita ascendente, dove la gioia, pur attraverso le angosce e gli incubi orrendi dell’esistenza, prevale sul dolore e la levità sulla pesantezza, dove le sofferenze, le sordide meschinità, le insufficienze sono riscattate da una speranza più alta, che nasce dalla rivelazione che quella gioia, quella danza sono una realtà una volta vissuta da un uomo. Zarathustra è l’uomo che ha accolto la conoscenza misterica”(Giorgio Colli Scritti su Nietzsche passim.da pagina 109-116 Adelphi editore 2008).

Con la dottrina del superuomo e dell’eterno ritorno, riprodotte  anche nello Zarathustra, Nietzsche ci conduce al superamento del nichilismo.

“Che cosa è il nichilismo: manca il fine, manca la risposta al perché; che cosa significa nichilismo?  Che i valori supremi si svalutano”(Frammento del 1887).

Nichilismo è dunque la mancanza di senso che subentra quando viene meno la forza vincolante delle risposte tradizionali al perchè della vita e dell’essere: Dio, la Verità, il Bene perdono il loro valore e periscono, generando la condizione di insensatezza in cui versa l’umanità contemporanea.

In uno dei frammenti stesi per la prefazione ad un’opera non compiuta, ”la Volontà di potenza”, Nietzsche descrive l’avvento del nichilismo.

L’uomo moderno crede ora a questo, ora quel valore, per poi lasciarlo cadere; il circolo dei valori superati e lasciati cadere è sempre più vasto; si avverte sempre più il vuoto e la povertà dei valori; il movimento è inarrestabile(…). Alla fine l’uomo osa una critica dei valori in generale; ne riconosce l’origine; conosce abbastanza per non credere più in nessun valore; ecco il Pathos, il nuovo brivido“.

Per Nietzsche il processo della svalutazione dei valori caratterizza la decadenza del pensiero europeo. Tutto questo nasce perché il mondo sovrasensibile, in quanto ideale, si dimostra irraggiungibile: si avverte il soffio velenoso sulla realtà, la grande seduzione che porta al nulla.

La svalutazione dei valori supremi già nasce con Platone che crede ad un mondo ideale per dissolvere quello reale.

Il nichilista è colui che del mondo quale è, giudica che non dovrebbe essere. Ma il mondo ideale è irraggiungibile, sconosciuto, neppure consolante. Siamo nel campo della illusione e dell’apparenza. Ecco allora che dobbiamo dare un futuro all’uomo, per rendere sostenibile l’esistenza. Dobbiamo pensare che Dio è morto e che il carattere complessivo del mondo sia il Chaos per tutta l’eternità. Dobbiamo confluire nel superuomo(Franco Volpi Il nichilismo- La Terza Bari).

Questa figura, come è stato spiegato da Heidegger, non va intesa nel senso di un essere prodigioso che abbia potenziato a dismisura le facoltà dell’uomo normale, ma come colui che supera l’uomo tradizionale, in quanto smette gli atteggiamenti, le credenze e i valori propri di quest’ultimo e ha la forza per crearne di nuovi. La trasvalutazione di tutti i valori e il movimento che si oppone al nichilismo e che lo supera. Essa alleva il superuomo, come colui che esprime la massima concentrazione di volontà di potenza e che accetta l’eterno ritorno delle cose.

“Che accadrebbe se un giorno una notte un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla una volta e ancora innumerevoli volte e non ci sarà mai in essa niente di nuovo, ma ogni dolore, ogni pensiero e sospiro e ogni cosa indicibilmente piccola e grande della tua vita dovrà fare ritorno a te e tutte nella stessa sequenza e successione e così pure questo ragno e questo chiaro di luna tra i rami e così pure questo attimo ed io stesso.

L’eterno orologio a polvere dell’esistenza viene di nuovo capovolto e tu, con esso granello di polvere, dalla polvere venuto. Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi e forse ti stritolerebbe. La domanda che ti porresti ogni volta, in ogni caso: vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte? Graverebbe sul tuo agire, come il peso più grande! Oppure quanto dovresti volere bene a te stesso e alla vita per non desiderare più nessun altra cosa che quest’ultima eterna sanzione, questo suggello?”( Gaia Scienza- 1882-VII-236-37).

Io sono un viandante e uno scalatore di montagne- disse Zarathustra  al suo cuore- non amo le pianure e sembra che non sappia stare fermo a lungo. Qualunque cosa mi capiti ancora come destino o esperienza, in essa ci sarà un peregrinare ed un ascendere monti… Zarathustra tu hai voluto scrutare il fondo e il sottofondo di tutte le cose: per questo devi salire al di sopra di te stesso, sempre più in alto, affinchè tu non abbia sotto di te anche le tue stelle.

Zarathustra vede l’attimo dell’eternità.

Il nano( visione dell’enigma) dice che ogni verità è curva, il tempo stesso è un circolo. Zarathustra risponde: quest’attimo: da questa porta si snoda all’indietro una strada lunga, eterna, dietro di noi giace un’eternità. L’attimo immenso è il momento in cui si avverte(non si vede) che tutte le cose sono così saldamente annodate, l’una all’altra che  quest’attimo le trae dietro tutte, anche quelle che devono ancora venire.

Gli eventi, passati, presenti e futuri non fanno più soffrire; la memoria e l’immaginazione non muoiono, non procurano più l’oppressione ed il soffocamento. Il passato non è fonte di rimpianti o di desideri di vendetta ed il futuro non porta paura ed incertezza.

“Nell’ora del perfetto meriggio, quando il sole stava a picco sul suo capo  Zarathustra giunse ad un vecchio albero ricurvo e nodoso. Gli venne voglia di stendersi  e di dormire. Nell’addormentarsi parlo al suo cuore: zitto, zitto! Non è diventato proprio ora perfetto il mondo? Che mi accade mai? Come un vento leggiadro, non veduto, danza sul mare, liscio come una tavola, lieve, leggero come una piuma: così danza su di me il sonno. O felicità o felicità! Vuoi forse cantare o anima mia? Giaci nell’erba, questa è l’ora solenne. L’ardente meriggio dorme sui campi. Non cantare taci. Il Mondo è perfetto”.

Nietzsche ebbe fortuna dopo la sua morte:  tuttavia già quando ormai fu dichiarato pazzo, in Europa il suo pensiero si diffuse ampiamente. Ma egli lo preconizzò:“Guardo talvolta la mia mano, pensando che ho in mano il destino dell’umanità: lo spezzo invisibilmente in due parti prima di me, dopo di me. Conosco la mia sorte e un giorno sarà legato il mio nome in ricordo di qualcosa di enorme, una crisi quale mai s’era vista sulla terra. La più profonda collisione di coscienze, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso e consacrato. Io vengo a contraddire come mai s’è contradetto, perché ora c’è la verità che dà battaglia alla millenaria menzogna. Avremo degli sconvolgimenti, uno spasimo di terremoti, monti e valli che si spostano, come mai prima s’era sognato! (Ecce Homo- VI-III-375-76-cfr.VIII-III-409-10)

Heidegger scrisse che Nietzsche ha rappresentato il grande mutamento nella storia della filosofia che la nostra stessa esistenza storica più propria si trova innanzi.

Comunque sia, è stato l’ultimo filosofo tedesco che ha cercato appassionatamente Dio. Egli ha posto l’ente come volontà di potenza ed eterno ritorno dell’uguale.

Nell’estate del 1881 Nietzsche, che all’epoca ha 37 anni, si trova a Silvaplana in Engadina, un luogo di montagna vicino a un bellissimo lago dove passeggia nel pomeriggio; “a seimila piedi al di la dell’uomo e del tempo” vide l’eterno ritorno.

Il sole della conoscenza risplende di nuovo a mezzogiorno ed il serpente dell’eternità si inanella alla sua luce: è il vostro tempo fratelli del meriggio”.

Nietzsche: il carro di Dioniso risplende sulla terra.

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Avvocato Biagio Riccio

L’avvocato Biagio Riccio è specializzato in diritto societario, diritto fallimentare, diritto bancario, diritto penale bancario e fallimentare.

Si è laureato con lode all’Università Federico II di Napoli ed ha assunto il titolo di dottore procuratore nel 1993 e quello di avvocato nel 1995; inoltre è patrocinante in Cassazione dal 2008.

È stato ideatore e promotore di due disegni legge sulla necessità di ottenere una diversa configurazione del potere punitivo anche nei confronti delle Banche, in caso di erronea segnalazione alla Centrale Rischi e sia sul potere da riconoscere al debitore, in caso di vendita di crediti deteriorati: in proposito, ha tenuto significative conferenze sia alla Camera dei Deputati che al Senato della Repubblica.

Ha ottenuto, nel 2014, la libera docenza di diritto bancario all’Università Telematica Unicusano di Roma.

È fondatore della rivista “Favor Debitoris”.

Ha scritto il libro “Fugaci ritratti”, con la casa editrice “Rubettino”, con la prefazione del prof. Vittorio Sgarbi.

“Biglietti d’amore” è il sito dove cura tutti gli aspetti legati alla cultura ed alla letteratura e molti dei contributi presenti sono stati poi inclusi in altre opere letterarie.

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