IL LIBRO, SOLO DI CARTA

IL LIBRO, SOLO DI CARTA

IL LIBRO, SOLO DI CARTA

La lettura, attraverso un libro, rende possibile la meditazione e la riflessione ed aiuta, lentamente, ad un evolutivo e sentito  processo di sedimentazione concettuale.

 

Non avviene allo stesso modo attraverso il computer, l’Ipad o il telefonino, ricchi di applicazioni avanzatissime sul piano tecnologico. E’ stato infatti ritenuto che mentre la lettura di un testo tratto da un libro comporta un apprendimento lineare anche sul piano neuro cognitivo, non si consegue il medesimo risultato e l’effetto sperato con gli strumenti telematici, che producono solo frammentazione.

Infatti mentre il libro induce ad un ordine universale e perciò lineare, comprensibile e fruibile da tutti, tali coordinate non sono invece rinvenibili nella cultura del web. Qui regna il disordine e quella eccessiva libertà, che degenera in un individualismo, che non ammette nessuna chiave di lettura alternativa, se non quella solitaria del suo autore.

Mentre i capitoli di un libro sono ordinati secondo quell’indice che tutti possono leggere, non avviene così con  un computer o un Ipad, dove l’ordine apparente è solo di chi ne è titolare. Nessun altro, oltre il suo possessore, potrà conoscere l’intimo delle cose che esso trattiene e che si può perdere e si annichilisce nella  comunicazione solipsistica.

La molteplicità  dei percorsi di letture, di dati, di consumo dell’informazione comporta un rinchiudersi nelle proprie nicchie. Si creano delle bolle, ambienti di informazioni slegati dalla realtà. A forza di interagire soltanto con che cosa ci piace, ad un certo punto tutto il mondo diventa semplicemente un grandissimo “Io”, una sorta di stanza degli specchi. Si consuma il linguaggio della comunicazione, in una cella blindata, ove non è ammesso alcun confronto.

Se si compra un giornale in edicola sotto  i tuoi occhi ne vedi e scruti anche altri. Nell’informazione che si consuma via web, tutto il resto scompare e si avverte il fenomeno dell’opacizzazione (Così Luciano Floridi filosofo dell’Oxford internet Institute L’Espresso 26.2.2017 pagina 46).

 

Ha ragione Umberto Eco quando ci ricorda che la cultura tramandata attraverso i libri, la carta stampata, non è bruta, ma comunque segue un ordine dato, volutamente sentito come comune.

 

 

Con internet  siamo ad un’informazione senza alcuna distinzione, senza controllo delle fonti, della sua intima gerarchia.
Con il libro c’è la collocazione degli eventi, secondo una cronologia, che è frutto di un intesa culturale, una tessitura collegiale, un’intelaiatura condivisa.
La cultura del libro opera il suo filtraggio, dicendoci ciò che bisogna conservare e ciò che bisogna dimenticare. In questo senso, essa ci offre un terreno comune di intesa, anche riguardo agli errori. Puoi capire la rivoluzione che Galileo realizza solo a partire dalle teorie di Tolomeo. Bisogna condividere la tappa Tolomeo per accedere alla tappa Galileo e rendersi conto che il primo si era sbagliato. Qualunque discussione fra noi non può darsi, se non sulla base di un’enciclopedia comune.

 

 

Il libro assicura e garantisce la continuità del dialogo. Sono queste forme di gregarismo che consentono il dialogo, la creazione e la libertà.

 

Con Internet, che ti dà tutto e ti condanna a filtrare non più con la mediazione della cultura, ma di testa tua, si corre il rischio di disporre ormai di sei miliardi di enciclopedie.

Le verità scientifiche resteranno più o meno valide per tutti perché, se non condividessimo le stesse nozioni matematiche, sarebbe impossibile costruire anche una casa. Ma basta navigare un po’ in Internet per trovare dei gruppi che mettono in discussione nozioni che noi crediamo condivise da tutti, sostenendo per esempio che la Terra è cava al suo interno e che viviamo sulla sua superficie interna, o anche che il mondo è stato effettivamente creato in sei giorni. Di conseguenza, il rischio di incontrare molti saperi diversi esiste.

Eravamo convinti che con la globalizzazione tutti avrebbero pensato allo stesso modo. Abbiamo il risultato completamente opposto: la globalizzazione contribuisce alla frammentazione del sapere comune (passim:Jean-Claude Carrière ed Umberto Eco Non sperate di liberarvi dei libri La nave di Teseo).

 

Ma il libro non potrà mai morire. Per leggere, è necessario un supporto. Questo supporto non può essere il solo computer.

 

 

Provate a passare due ore al computer a leggere un romanzo e i vostri occhi diventeranno delle palle da tennis! Il computer dipende dalla presenza dell’elettricità e non ti consente di leggere nella vasca da bagno, né disteso sul fianco a letto. Il libro, quindi, è a conti fatti uno strumento più flessibile. Delle due cose, l’una: o il libro resterà il supporto della lettura o ci sarà qualcosa che rassomiglierà a ciò che il libro non ha mai smesso di essere, anche prima dell’invenzione della stampa. Le variazioni intorno all’oggetto-libro non ne hanno modificato la funzione, né la sintassi, da più di cinquecento anni. Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici. Una volta che li avete inventati, non potete fare di meglio. Non potete fare un cucchiaio che sia migliore del cucchiaio.  Il libro ha superato le sue prove e non si vede come, per la stessa funzione, potremmo fare qualcosa di meglio. Forse evolverà nelle sue componenti, forse le sue pagine non saranno più di carta. Ma resterà quello che è (Ibidem Umberto Eco).

Il libro è stato anche bruciato, perché si intendeva bloccare e recintare il pensiero, sradicare il fiore che diffondeva il profumo inebriante  dell’eresia. Perché il libro ha portato nuove idee che hanno smosso la putredine del mare, alimentato  il conflitto, diffuso nuove religioni che hanno insanguinato l’Europa con la lunga Notte di San Bartolomeo.

 

 

Il libro è stato posto all’Indice, perché andava sbugiardato il suo autore, che doveva sentire nella viva carne la vergogna del pubblico ludibrio.L’implacabile Inquisizione doveva proteggere la fredda ed insensibile  durezza marmorea dell’Ortodossia, perché tutti tacessero al suo cospetto. Il libro è stato abbandonato, vilipeso, buttato via nelle cantine. Ci sono libri di cui conosciamo l’esistenza, ma che nessuno ha mai visto o letto. Capolavori sconosciuti e destinati a restare tali. Manoscritti inestimabili rubati o in attesa in fondo a una grotta da circa mille anni.

 

 

Il libro ha fatto la Rivoluzione, può seguire il movimento della Storia da vicino, piegandosi al suo ritmo. Per scrivere Le notti di Parigi, Rétif de la Bretonne cammina per la capitale e descrive semplicemente ciò che vede. Rétif era noto per essere un visionario, che arricchiva spesso con l’immaginazione il mondo che invece presentava come reale. Gli ultimi due volumi delle Notti di Parigivengono scritti sotto la Rivoluzione. Rétif non solo scrive il suo racconto di notte, ma lo rivede e lo stampa al mattino, con un torchio, nel sottosuolo. E poiché in un periodo così problematico non riesce a procurarsi la carta, raccoglie nelle strade, durante le sue passeggiate, dei manifesti e dei volantini, che fa bollire per ottenere così una pasta, seppur di pessima qualità. La carta degli ultimi due volumi, quindi, non è per niente simile a quella dei primi; la stampa è in forma abbreviata, perché non ha tempo. Mette “Riv.”, ad esempio, per dire “Rivoluzione”. È stupefacente. Il libro stesso testimonia la fretta di un uomo che vuole, a ogni costo, coprire l’evento, andare tanto veloce quanto la Storia  ( ibidem  :Jean-Claude Carrière).

 

Cosa significa leggere un libro, avere e provare nei recessi profondi dell’anima e del cuore la sua desiderata compagnia? Ce lo ha spiegato e descritto, con poesia e leggerezza, la sua leggerezza, Italo Calvino, nel famoso incipit del bellissimo libro” Se una notte d’inverno un viaggiatore”.

 

 

Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre il televisore acceso. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la TV !» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: speriamo che ti lascino in pace.

Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In poltrona, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf. Sull’amaca, se hai un’amaca. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto.

Una volta si leggeva in piedi, di fronte a un leggio. Si era abituati a stare fermi in piedi. Oggi ti puoi anche sdraiare. Distendi le gambe, allunga pure i piedi su un cuscino, su due cuscini, sui braccioli del divano, sugli orecchioni della poltrona, sul tavolino da tè, sulla scrivania, sul pianoforte, sul mappamondo. Togliti le scarpe, prima. Se vuoi tenere i piedi sollevati; se no, rimettitele. Adesso non restare lì con le scarpe in una mano e il libro nell’altra. Regola la luce in modo che non ti stanchi la vista. Fallo adesso, perché appena sarai sprofondato nella lettura, non ci sarà più verso di smuoverti. Fa in modo che la pagina non resti in ombra, un addensarsi di lettere nere su sfondo grigio, uniformi come un branco di topi; ma sta attento che non le batta addosso una luce troppo forte e non si rifletta sul bianco crudele della carta, rosicchiando le ombre dei caratteri come in un mezzogiorno del Sud. Cerca di prevedere ora tutto ciò che può evitarti d’interrompere la lettura. Le sigarette a portata di mano, se fumi, il portacenere.

 

Forse è già in libreria che hai cominciato a sfogliare il libro. O non hai potuto perché era avviluppato nel suo bozzolo di cellophane?

 

Ora sei in autobus, in piedi, tra la gente, appeso per un braccio a una maniglia e cominci a svolgere il pacchetto con la mano libera, con gesti un po’ da scimmia, una scimmia che vuole sbucciare una banana e nello stesso tempo tenersi aggrappata al ramo. Guarda che stai dando gomitate ai vicini; chiedi scusa, almeno. O forse il libraio non ha impacchettato il volume; te l’ha dato in un sacchetto. Questo semplifica le cose.

Sei al volante della tua macchina, fermo a un semaforo, tiri fuori il libro dal sacchetto, strappi l’involucro trasparente, ti metti a leggere le prime righe. Ti piove addosso una tempesta di strombettii; c’è il verde; stai ostruendo il traffico.

Sei al tuo tavolo di lavoro, tieni il libro posato come per caso tra le carte d’ufficio, a un certo momento sposti un dossier e ti trovi il libro sotto gli occhi, lo apri con aria distratta, appoggi i gomiti sul tavolo, appoggi le tempie alle mani piegate a pugno, sembra che tu sia concentrato nell’esame d’una pratica e invece stai esplorando le prime pagine del romanzo. A poco a poco adagi la schiena contro la spalliera, sollevi il libro all’altezza del naso, inclini la sedia in equilibrio sulle gambe posteriori, apri un cassetto laterale della scrivania per posarci i piedi, la posizione dei piedi durante la lettura è della massima importanza, allunghi le gambe sul piano del tavolo, sopra le pratiche inevase.

Rigiri il libro tra le mani, scorri le frasi del retrocopertina, del risvolto, frasi generiche, che non dicono molto. Meglio così, non c’è un discorso che pretenda di sovrapporsi indiscretamente a quello che il libro dovrà comunicare lui direttamente, a ciò che dovrai tu spremere dal libro, poco o tanto che sia.

Certo, anche questo girare intorno al libro, leggerci intorno prima di leggerci dentro, fa parte del piacere del libro nuovo, ma come tutti i piaceri preliminari ha una sua durata ottimale, se si vuole che serva a spingere verso quello più consistente della consumazione dell’atto, cioè della lettura del libro.

Per leggere bene tu devi registrare tanto l’effetto brusio quanto l’effetto intenzione nascosta, che ancora non sei in grado  di cogliere. Leggendo devi dunque mantenerti insieme distratto e attentissimo.

 

 

Leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà.

 

Il libro che ora avrei voglia di leggere è un romanzo in cui si senta la storia che arriva, come un tuono ancora confuso, la storia che annuncia un nuovo destino, un romanzo che dia il senso di stare vivendo uno sconvolgimento che ancora non ha un nome, non ha preso forma.

Hai con te il libro che stavi leggendo al caffè e che sei impaziente di continuare, per poterlo poi passare a lei, per comunicare ancora con lei attraverso il canale scavato dalle parole altrui, che proprio in quanto pronunciate da una voce estranea, dalla voce di quel silenzioso nessuno, fatto d’inchiostro e di spaziature tipografiche, possono diventare vostre, un linguaggio, un codice tra voi, un mezzo per scambiarvi segnali e riconoscervi (passim: Italo Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore).

Leggere un libro colora la solitudine: ti immergi nel fiume vorticoso della trama che sfocia lentamente nel mare dell’immaginazione e rischiara la tua mente, come un fiore rinsecchito che rivede la sua rugiada: così il pensiero si rinnova della linfa catartica che le ha donato quella pagina, colma di un messaggio trasparente all’idea che germoglia dalle parole e dal testo vivido.

 

 

La carta del libro dà il suo profumo che aleggia sul tuo corpo: il libro diventa tuo, lo possiedi all’interno di te e conferisce un linguaggio alla tua anima. Un libro di carta si vede all’istante quanto è grosso: comprendi, maneggiandolo, quanto tempo ci vorrà a finirlo e quanto ne rimane da leggere. Lo si sfoglia per cercare a colpo d’occhio un frase che vuoi rubare, copiare, imitare. Lo riponi in libreria accanto ad altri che coprano una parete che arricchisce ed abbellisce la tua casa.

 

Ma il libro non deve rimanere intonso: va letto, studiato, sottolineato, imparato, copiato nelle frasi più belle, quelle ricche di aggettivi e di sinonimi che tessono una musicalità del suo autore.

 

Va ripreso, nel capitolo che più ti ha colpito, ti ha segnato, che vedi ricco di glosse e di aggiunte che hai creato, segno inconfondibile del suo possesso e dell’amore che è nato fra il lettore e lo scrittore.

La lettura deve rischiarare le tenebre, come il debole mozzicone di candela, che aveva Pinocchio nel ventre del pescecane. Il mondo deve diventare letteratura: lo svolazzo, arabesco filo di scrittura, fitta, febbrile, nevrotica deve sostituirsi ad ogni altro mondo possibile.

La carta del libro va sentita con tatto delicato, perché abito  elegante del pensiero.

 

Il libro è solo di carta.

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Avvocato Biagio Riccio

L’avvocato Biagio Riccio è specializzato in diritto societario, diritto fallimentare, diritto bancario, diritto penale bancario e fallimentare.

Si è laureato con lode all’Università Federico II di Napoli ed ha assunto il titolo di dottore procuratore nel 1993 e quello di avvocato nel 1995; inoltre è patrocinante in Cassazione dal 2008.

È stato ideatore e promotore di due disegni legge sulla necessità di ottenere una diversa configurazione del potere punitivo anche nei confronti delle Banche, in caso di erronea segnalazione alla Centrale Rischi e sia sul potere da riconoscere al debitore, in caso di vendita di crediti deteriorati: in proposito, ha tenuto significative conferenze sia alla Camera dei Deputati che al Senato della Repubblica.

Ha ottenuto, nel 2014, la libera docenza di diritto bancario all’Università Telematica Unicusano di Roma.

È fondatore della rivista “Favor Debitoris”.

Ha scritto il libro “Fugaci ritratti”, con la casa editrice “Rubettino”, con la prefazione del prof. Vittorio Sgarbi.

“Biglietti d’amore” è il sito dove cura tutti gli aspetti legati alla cultura ed alla letteratura e molti dei contributi presenti sono stati poi inclusi in altre opere letterarie.

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