
LA NOSTALGIA E L’AMOR FATI. CIÒ CHE SI LASCIA È PERDUTO.
Il presente è ponderato con difficoltà, soprattutto quando uno spezzone della vita sia stato vissuto intensamente.
Affiora il sentimento della nostalgia, dell’irripetibile condizione di un tempo passato, sfiorito, impossibile per un ritorno. Come se il presente si annullasse, non esistesse: vi è un conato dell’anima, uno sforzo proteso al ricordo, ad un richiamo del passato, al suo contesto già compiuto realizzato e perciò non più proponibile.
Se infatti si intende ripetere un film già visto, o fare una rimpatriata, non sarà mai più come prima, perché non si può ritornare indietro.
Senti la vecchiezza del presente, la tristezza di una condizione impossibile: non puoi correre come prima, fare all’amore con la stessa forza ed impeto.
la corrosione del tempo
La vigoria del fisico non si può ripristinare, nemmeno con la chirurgia plastica: certe donne non accettano la corrosione del tempo, il presentarsi implacabile delle rughe, la caduta delle forze e ricorrono ad interventi medici che ridicolmente imbruttiscono- (inesorabilmente)-con tiraggi della pelle, il volto e le parti del corpo.
Ne aveva consapevolezza Omero nell’Odissea: non puoi pensare di vivere eternamente, rendere immortale la tua esistenza, lasciando perire il fisico e la mente. Ecco perché Calipso offre ad Ulisse sia eternità che giovinezza, perché l’immortalità non può essere vissuta con la corrosione della gioventù, la presenza della vecchiaia che frantuma il corpo.
La nostalgia è una curva, un portarsi all’indietro per raccogliere il tempo versato.
La nostalgia riconosce il fascino dell’inattuale, l’ irriducibilita’ del destino, che giocoforza deve scorrere, come un fiume che deve sfociare nel mare.La corrente non può risalire, rigurgitare, deve andare irreversibilmente verso quella direzione, avanti, per consumare il tempo dato.
È questa condizione dell’uomo che non accetta il suo destino, un tempo che ancora deve essere vissuto, consumarsi, perdersi, assottigliarsi, che lo porta a richiedere il ritorno al passato. Perché se siamo felici, egoisticamente desideriamo che il tempo si fermi, diventi eterno, non corra verso l’ignoto: la paura e l’angoscia ci prendono, perché sappiamo di non essere forti come prima.
Ci voltiamo dunque indietro e siamo nostalgici: in greco “ritorno” si dice nòstos. Álgos significa “sofferenza”.
La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare al già vissuto.
Proust ne ha scritto un capolavoro: “Alla ricerca del tempo perduto”.
D’Annunzio dei versi bellissimi ( La sabbia del tempo): si evoca la condizione dell’ uomo, come quella di chi si pone in un ozio immobile (trattenuto dal cavo della mano) al cospetto della clessidra nella quale scorre la sabbia (sempre), anche quando la capovolgi: il tempo si deve consumare, per forza: si avverte che il giorno diventa breve.
“Come scorrea la calda sabbia lieve
Per entro il cavo della mano in ozio,
Il cor sentì che il giorno era più breve.
E un’ansia repentina m’assalse”.
L’uomo dunque deve vivere ed accettare il suo destino predisporsi al futuro, ad una progettualità che deve superare anche la consapevolezza della morte con una volontà di potenza di attuazione dell’essere.
L’amor fati
È l’amor fati: accettare il destino della vita per cambiarla, per possederla, per rimuovere la nostalgia che produce melanconia.
Questa è la filosofia dell’ottimismo, del dominio della volontà sull’evento, della forza sulle cose.
Una dichiarazione d’amore per la vita. Dire sì alla vita. Dire sì a tutto: sofferenza e felicità, dispiacere e piacere, miseria e gioia, malattia e salute, tristezza e allegria, dolore e soddisfazione, depressione ed estasi, prostrazione ed esaltazione, lutto ed esultanza. Ecco perché bisogna porsi sotto il segno del fanciullo che vive sanamente nell’innocenza del divenire, come ci aveva insegnato Nietzsche.
Amiamo ciò che accade, perché l’accadere ha luogo nella forma più potente, più feconda, più vera della volontà di potenza, perché essa è pura necessità.
Amor fati come ha scritto in un bellissimo libro Marcello Veneziani è un antidoto al fatalismo contemporaneo: accogliere l’essere nel suo accadere, perché essere è avere un destino, è accettare la vita con i suoi limiti e le consunte responsabilità, non struggersi per essere altro e stare altrove, è amore metafisico per la realtà, è la serenità degli inquieti, una adeguata replica alla grandezza infinita del destino.
Si deve tendere all’espansione della vita, alla ricerca del piacere e dell’ottimismo.
La mitologia segna lo scorrere del tempo: come un filo che un giorno sarà tagliato: le figlie della notte, le Moire sono tre: Cloto, nome che in greco antico significa “io filo”, che appunto filava lo stame della vita; Lachesi che significa “destino”, che lo avvolgeva sul fuso e stabiliva quanto del filo spettasse a ogni uomo; Atropo che significa “inflessibile”, che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile.
La nera Atropo va rimossa : ciò che si lascia è perduto, se non è vissuto.